Oppido Mamertina (Oppitu, Ofidus in dialetto greco-calabro) è un comune Italiano di 4808 abitanti della Città Metropolitana di Reggio Calabria. È sede della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi.
Origini del nome
Deriva dal latino oppidum, luogo fortificato oppure “comune che non è una città” (senso attribuito dai Normanni). La specifica si riferisce all’antica città Mamertum.
Informazioni:
Sito istituzionale:
www.comune.oppidomamertina.rc.it
il Territorio
Il territorio comunale di Oppido si estende dalle vette dell’Aspromonte e scendendo lungo la dorsale pre-aspromontana si insinua nel cuore della Piana di Gioia Tauro e, caratterizzato da formazioni geologiche di varia natura, presenta, quindi, una fauna e una flora particolarmente diversificata.
Il comune comprende le seguenti frazioni: Castellace, Massignadi, Piminoro, Tresilico, Quarantano.T resilico e Zurgonadio vista la conurbazione con Oppido centro sono ormai considerati quartieri della città. Altri quartieri sono: Tuba, Pretura, Nucijari, Calvario, Pilieri.
La Storia
La città medievale fu fondata, probabilmente nel IX secolo, sull’antica Oppidum a sua volta fondata su un antico insediamento costruito dal popolo dei Mamertini spostatosi dalla vicina Mella (III-I secolo a.C.) dove aveva trovato rifugio unendosi alla popolazione italica del posto e dando alla luce la mitica Mamertion. Nel 1056 fu conquistata da Ruggero il Normanno e divenne ducato durante la dominazione angioina, fu a lungo contesa tra angioini e aragonesi.
La città fu distrutta dal terremoto del 5 febbraio 1783. Nel 1864 alla nuova Oppido, riedificata nella Contrada Tuba fu aggiunto l’appellativo di “Mamertina”.
Origini
Il territorio di Oppido ha una stratificazione storico-archeologica di notevole rilievo. In località Torre Cillea e Torre Inferrata sono documentate presenze comprese tra i secoli VII e III Secolo a.C. ricollegabili ad area di abitato e di necropoli. Sono stati portati alla luce i resti di un nucleo di genti indigene ellenizzate prima e successivamente di una comunità brettia. In contrada Mella, nei pressi della città medievale di Oppido, è stato rinvenuto un insediamento risalente al III – I secolo a.C. e reperti riferibili all’età neolitica e all’età del ferro. Nel cuore dell’Aspromonte, in località Palazzo, è stata costruita nel IV secolo a.C. all’estremità di un lungo serro che domina l’intero territorio di Oppido, una struttura fortificata che, protetta da un avancorpo, accoglieva una guarnigione in pianta stabile. La città medievale è munita di castello e di grandi mura difensive ancora oggi in gran parte visibili, di un’importante cattedrale, è ricca di palazzi, chiese, conventi, nel Seminario si insegnavano lettere, filosofia, teologia morale, sacra scrittura, canto gregoriano, storia sacra e profana, geografia, oratoria, poetica, estetica, storia della filosofia.
Arte e cultura
Monumenti e Luoghi d'interesse
Area Archeologica
Nella nota contrada Mella, poco distante da Oppido, insiste un vasto e complesso sito archeologico. Giacciono, ancora in gran parte sepolti nonostante la massiccia campagna di scavi, i resti della mitica Mamerto, citata negli scritti di Strabone. La sua origine è legata alle vicende dei Mamertini (cultori del dio Marte), popolo di mercenari provenienti per lo più dalla Campania. Arrivati in Sicilia, partendo dalla Sila Tauricana (entroterra sopra Reggio e Locri) dove si erano stanziati abbandonando il Sannio per scongiurare una pestilenza, furono assoldati dal tiranno di Siracusa Agatocle. Alla sua morte si spinsero verso nord fino a Messina conquistandola. Dopo l'avvio della Prima guerra punica, del quale furono i principali responsabili, schiacciati dalla potenza di Roma e Cartagine, lasciarono l'isola e ritornarono in questo lembo di Calabria dove trovarono stabile rifugio in un abitato italico fondando così Mamerto. Questo termine però nel tempo si perse a causa della mescolanza con la cultura e il lessico dei popoli locali, e visto che l'insediamento dei mamertini avvenne nella Sila Tauricana da qui il nome Tauriana (la città del monte Taurus). Il legame tra le città di Tauriana e di Mamertion è insito inequivocabilmente nelle fonti (Alfio di Messana, Strabone, Catone, Stefano Bizantino), le due città sono sorte con ogni evidenza nello stesso territorio, sono cioè la stessa cosa. Significativi sono i numerosi ritrovamenti di mattonacci e di tegole recanti la scritta TAYRIANYM e dei bolli statali contraddistinti dall'etnico TAYPIANOYM comprovanti una piena autonomia politica. Ben presto la città diventa un importante centro economico e commerciale assumendo un ruolo preminente nello sfruttamento e nella gestione del potenziale economico dell'alto bacino del Metauros, usufruendo anche di uno sbocco commerciale sul Tirreno tramite l'emporio portuale di Taurianum alla foce del fiume.
Dimora di un antico popolo, i Tauriani, l'area archeologica di Mella è uno scrigno prezioso in cui è custodita una storia millenaria e piena di mistero. Gli scavi, situati in contrada Mella di Oppido, nei pressi del vecchio centro medievale di quest'ultima, sono stati consegnati alla collettività a partire dagli anni '80 grazie all'impegno e all'interessamento di numerosi studiosi ed esperti provenienti da tutto il mondo. Il sottosuolo dell'area ha restituito circa dieci ettari di strutture e reperti facenti parte di un antico insediamento. Già dai primissimi sondaggi e rilievi la zona si è mostrata ricchissima di testimonianze risalenti al IV, III e II secolo a.C. quali strutture murarie, strade acciottolate con la presenza di carreggiata al centro, condutture d'acqua, monete dei Mamertini, vasellame e tegolame. Particolarmente significativa, inoltre, la presenza di bolli che attestano come il luogo sia stato abitato dall'antico popolo dei Tauriani. Nel corso degli anni le attività di scavo hanno riportato alla luce ulteriori reperti: resti di case con pavimentazione, strade, armi, monete facenti parte del conio mamertino, delle zecche di Reggio, Locri, Hipponion e Siracusa, statuette, sementi e resti umani.
Il proseguimento degli scavi iniziati negli anni ottanta porterà (come sta già portando) a una ridefinizione della storia della Piana di Gioia Tauro e di una parte importante della storia dell'Italia Meridionale, colmando finalmente le lacune dei testi antichi giunti fino ai nostri giorni.
Una parte consistente del materiale archeologico rinvenuto a Mella è oggi custodito a Reggio Calabria, presso il Museo Nazionale della Magna Grecia.
Oppido Vecchia è una città di epoca medievale, oggi abbandonata, che dista circa due chilometri in linea d'aria verso ovest dall'attuale città di Oppido Mamertina, posta su un terrazzo delimitato dalla fiumara Boscaino e dal vallone Buiasca a ovest, dal vallone Tricuccio a est.
L'altopiano dov'è collocato il nucleo urbano abbandonato di Oppido è interessato da insediamenti umani già in età ellenistica e preistorica.
Posta a brevissima distanza dal Parco Archeologico del Mella, la città giace all'ombra dei taciti ulivi, in una cornice di rara bellezza. Il sito, per la sua estensione e densità di resti, è particolarmente affascinante e interessante. La città era protetta da possenti mura e vi si accedeva grazie alle due porte poste agli estremi del lungo asse principale (ben visibili, tanto le mura quanto le porte) sul quale si affacciano gli edifici più importanti i cui resti sono ancora visibili. La città ospitava il Seminario e l'imponente Cattedrale con l'Episcopio (della Cattedrale persistono oltre le vestigia perimetrali, la scalinata esterna e interna e il campanile). Dallo stradone principale si diramavano tortuosamente le vie e viuzze che danno forma al caratteristico contesto urbano. Ospitava anche, oltre a numerose chiese, il Convento dei Frati Paolotti e il Convento dei Frati Francescani Osservanti e fuori le mura il Convento dei Frati Cappuccini e due carceri, uno ecclesiastico e l'altro civile nel Castello Angioino-Aragonese che, accanto alla porta nord, si innalza poderoso ancora ben conservato.
Il castello di Oppido Mamertina fu costruito a cavallo tra il X e XI secolo; si presenta oggi di matrice aragonese, ma sotto la bardatura si intravede in uno dei torrioni, a causa di uno squarcio formatosi qualche decennio addietro, una massiccia costruzione cilindrica, indicativa della precedente fattura bizantina o normanna. La sua funzione era, evidentemente, residenziale e difensiva. Il Castello di Oppido Mamertina resistette, nel 1056, all'assedio che il primo Ruggero D’Altavilla pose col suo esercito e più tardi fu la residenza della sorella del secondo Ruggero, feudataria del tempo. Nella seconda metà XV secolo era controllato dagli aragonesi che si sostituirono al dominio angioino. I bastioni scarpati presentano un motivo decorativo ad archetti su mensole tra due codoni, molto simile a quello del Castello di Reggio Calabria. Una parte dei sotterranei fungevano da carcere civile; fu abbandonato dopo il terremoto del 1783.
Una tra le aree di particolare importanza site sul territorio di Oppido Mamertina è Castellace: il più antico sito archeologico che ricade all’interno del bacino idrografico del fiume Petrace, che segna il limite meridionale della pianura di Gioia Tauro. Tale frazione dista da Oppido Mamertina 5,55 km ed ha un altitudine di 193 m s. l. m.; conta circa 600 abitanti e l’economia è basata sull’agricoltura. Essa è circondata infatti da agrumeti ed uliveti. Fino al 1601, Castellace faceva parte della Diocesi di Reggio Calabria, solo successivamente entrò a far parte delle Diocesi Oppidese. Nel 1783 fu soggetta al disastroso terremoto e fu ricostruita successivamente in un altro territorio, ma un altro sisma del 29 Dicembre del 1908 ne ha provocato nuovamente la distruzione. Venne ricostruita ad un km dalla vecchia Castellace, prendendo il nome di “Castellace Stranges” .
I rinvenimenti archeologici reperiti, sono riconducibili all’età dei metalli: bronzo e ferro in un arco di tempo tra il XII e il VIII secolo a. C. Il sito antico di Castellace è ubicato nella porzione meridionale e più interna dell’area stessa. L’ area del sito archeologico comprende: il piccolo pianoro di Torre Cillea fronteggiato a ovest da quello di Torre Inferrata. Il pianoro di Torre Cillea si estende su una superficie pianeggiante e oggi risulta intensamente coltivato a uliveto. Le indagini effettuate in questa località consentono di confermare l’ipotesi della possibile esistenza di un abitato in seguito alla scoperta di due necropoli di età protostorica e di età ellenistica, rilevate nella vicina Contrada Inferrata.
Riguardo il materiale protostorico, gli elementi rinvenuti si inseriscono nell’età del ferro o del bronzo finale/primo ferro. Si tratta di due esemplari attribuibili a forme ceramiche: due frammenti di orlo relativi ad un “olla” e ad una “scodella”, entrambi accomunati da un tipo di impasto alquanto grossolano di colore rosato dell’argilla tendente al grigio. Le altre classi di oggetti più antichi presenti nel sito sono: la ceramica di produzione coloniale e le anfore arcaiche. Tuttavia i dati in nostro possesso sono discreti sia a livello quantitativo che qualitativo perché i materiali si presentano in pessimo stato di conservazione a causa del processo degenerativo dovuto all’ acidità del terreno che tende a corrodere le superfici.
L’ aspetto più interessante delle necropoli protostoriche, è legato alla presenza di cripte a grotticelle, atti ad ospitare corpi interi e non vani contenenti urne cineree, rivestite di pietre con il defunto rannicchiato sul lato destro( riconducibili alle costumanze funebri dei popoli di Sicilia).
Le armi portate alla luce risalgono all’età del bronzo finale : spada corta, doga e lancia che determinano l’appartenenza dei corredi rinvenuti a figure di guerrieri dal ruolo predominante che utilizzavano una tecnica di combattimento molto elaborata e poco nota. Tra i corredi femminili , una posizione notevole è occupata dalla presenza di monili d’oro come i bracciali spiraliformi. Diversamente, tra i materiali ritrovati risalenti all’età del ferro ricordiamo: cuspidi di lancia, fibule e forme ceramiche di impasto, riferibili alla prima fase di questo periodo che testimoniano anche la sopravvivenza degli insediamenti del bronzo finale e l’importanza delle attività belliche. Dalla stessa località provengono le testimonianze funerarie che documentano la presenza italica, specificatamente brèttia, nel corso del IV – III secolo a. C. nel territorio di Oppido. Si tratta di corredi funerari formati da materiali che indicano l’origine italica dei defunti; il rango sociale elevato, nella comunità cui appartenevano, è attestato dall’esistenza nelle tombe dei guerrieri, di schinieri e di cinturoni a fascia, originariamente in cuoio e bronzo e di cui oggi si conserva la parte terminale con gli agganci decorati a motivi vegetali.
Accanto al tradizionale vasellame ceramico, non conservatosi nel caso di Castellace, è stato ritrovato vasellame bronzeo, riconducibile alla pratica conviviale del simposio, con la tipica forma della situla o del kantharos, usati per bere o mescolare l’acqua al vino. Di contro, alari, spiedi, coltelli solitamente usati per tagliare e cuocere la carne, sono ricollegabili all’ ideologia del banchetto e dell’ Oikos, riprodotti invece in piombo. Tra le forme ceramiche ricollegabili a sepolture femminili italiche, sono state rilevate il lebete nuziale e la lekane, entrambi a figure rosse. Il rito funerario documentato è quello di inumazione, ma per qualche defunto è testimoniato il rito dell’incinerazione.
Il pianoro di Torre Cillea, si presenta come un’ area idonea per ospitare un abitato. Tuttavia, data l’estensione limitata dello scavo, non è ancora possibile stabilire se si tratta di un abitato di piccoli dimensioni (fattoria, villaggio) o di estensione maggiore. In esso, la cronologia fornita dai materiali rinvenuti (ceramica a vernice nera, una moneta “AE” siracusana di età dionigiana) non appare riferibile alla necropoli di Torre Inferrata. Le strutture rinvenute a Torre Cillea, rientrano piuttosto nell’ ambito cronologico della lamina bronzea, con dedica ad Eracle Reggino, datata alla prima metà del V secolo a. C.
Tale ritrovamento è stato rilevato nel Pianoro Torre Inferrata in località S. Teodoro e viene interpretato anche come santuario di frontiera posto tra il territorio di Reggio e quello delle colonie locresi sul tirreno (Tauriana e Metauros).
Tra le monete reperite, assume rilevante importanza quella attribuibile alla Zecca di Methana. A quest’ultima sono state attribuite alcune serie monetali, all’ultima delle quali è assimilabile la moneta rinvenuta a Castellace. Assimilabile appunto, ma non uguale, trattandosi di una moneta coniata nel caso di Castellace e di una (forse) fusa nel caso della moneta attribuita a Methana.
La criticità nell’attribuire questa moneta alla zecca di Methana risiede nel fatto che questa piccola polis sia tra le meno note del mondo greco a causa della rarità dei rinvenimenti.
La moneta suddetta è parte di una monumentale collezione numismatica, una delle più ricche e complete al mondo di monete del Peloponneso.
Architetture Religiose
La Cattedrale di Santa Maria Assunta è il principale luogo di culto cattolico di Oppido Mamertina, sede episcopale della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi.
È ubicata nel centro cittadino e si affaccia su piazza Duomo. È tra gli edifici sacri più grandi della Calabria e con i suoi 33 metri primeggia su tutti in altezza. Il campanile, costruito su progetto dell'ingegnere Pasquale Epifanio è alto 50,10 metri e domina la Piana di Gioia Tauro.
Situata accanto al Palazzo vescovile e al Seminario, la chiesa si colloca in posizione rialzata e dominante rispetto alla piazza antistante, a cui è collegata tramite una grande scalinata sotto la quale è posta una suggestiva rosa dei venti.
L’attuale Cattedrale, di recente elevata a Santuario di Maria SS. Annunziata, venne riedificata sul preesistente edificio ottocentesco, gravemente danneggiato dai terremoti del 1894 e del 1908,su progetto di Ettore Baldanza, in stile neoclassico e fu consacrata da mons. Nicola Colangelo il 24 marzo 1935. La parte più antica è la cappella del Santissimo Sacramento, risalente alla prima metà dell'800.
L'interno, a croce latina,si presenta maestoso, in una soffusa luminosità non troppo abbagliante come nelle cattedrali barocche, né troppo cupa, come in quelle gotiche. Presenta un impianto a tre navate divise da imponenti colonne. Il soffitto della navata centrale è costruito a cassettoni e nel grande rosone centrale è raffigurata l'Assunzione di Maria in cielo e schiere di angeli osannanti alla Vergine in altri riquadri.
Al centro del transetto, intorno alla cupola centrale, si possono ammirare i quattro evangelisti e, su due pilastri della stessa, i dipinti di San Pietro e San Paolo che guardano verso la platea, Sant'Agostino e San Basilio rivolti sul presbiterio. In quest'ultimo sono presenti artistici stalli lavorati in legno ove sono posti due stemmi, uno di Papa Pio XII e l'altro di Nicola Canino Vescovo, la grande mensa interamente lavorata in marmo e nella profondità del presbiterio l'imponente altare maggiore in marmo policromo. Dalla balaustra della cantoria si affaccia l'organo con le sue oltre 2.500 canne. Ospita, tra l'altro, una statua della Madonna in marmo del XVI secolo, opera forse del Gagini; un'antica statua in legno di Sant'Anna seduta con la Madonna bambina, autore sconosciuto; nella sua cappella, abbellita con rosoni, stucchi in oro 23 carati e dipinti che raffigurano i misteri gaudiosi, è posta la statua in legno della Madonna Annunziata, opera del 1841, di Arcangelo Testa.
In fondo alla navata destra è posta l'artistica Cappella del Santissimo Sacramento, di forma circolare, con una serie di dieci colonne che sorreggono un cornicione ornato con motivi floreali in gesso decorati in oro 23 carati e rosoni, e la cupola, anch'essa ornata con festoni in gesso e rosoni, che culmina in un lucernario. Intorno alla cappella, in apposite nicchie e su basamenti in gesso sono riposte le statue di San Francesco di Paola, Sant'Antonio da Padova, Santa Margherita Maria Alacoque, il Cuore Immacolato di Maria, San Pietro e San Giovanni Evangelista, al centro domina la statua del Cuore di Gesù.
Sulla navata sinistra è posto un crocefisso del 1807, opera di Francesco De Lorenzo di Varapodio; un Battistero, finemente scolpito in marmo, del 1860; un sarcofago in marmo, che custodisce la statua del Cristo morto e sopra di esso la statua dell'Addolorata, un grande tabernacolo per gli oli santi. La Cappella dell'Immacolata, dove è posta una statua in legno sopra l'Altare in marmo, La Cappella Stipo, che ospita un maestoso armadio in legno, interamente scolpito a mano, ove si custodisce il grandioso Trono della Vergine Annunziata.
La cattedrale custodisce un Ecce Homo scolpito in legno, posseduto da San Carlo Borromeo, donato al patrimonio artistico della cattedrale dal vescovo Cesonio (1609-1629) e diverse sepolture di Vescovi.
È ubicata nel centro cittadino in via Francesco Maria Coppola. È conosciuta anche come chiesa della Madonna del Buon Consiglio.
La chiesa è di origini cinquecentesche e sorgeva accanto al convento dei Minimi, prima che il centro abitato della nuova città, distrutta dal terremoto del 1783, si espandesse intorno ad essa. La prima ricostruzione avviene proprio dopo i danni subiti nel 1783.
L'edificio attuale è un'ulteriore ricostruzione dopo i gravi danni del terremoto del 1908. La chiesa viene ricostruita in tutta la parte sommitale della chiesa, mantenendo originali il portale e parte delle coppie di lesene, gli altari interni e la porzione inferiore della torre campanaria.
La chiesa si sviluppa su navata unica con presbiterio sopraelevato e grande altare marmoreo. La facciata neoclassica deriva in gran parte dalla ricostruzione novecentesca, a parte gli elementi originali. Il campanile, posto a destra della facciata, ha una cella campanaria con tre originali aperture ellittiche.
L'interno ospita un'artistica statua di San Giuseppe scolpita in legno dall'artista oppidese Rocco Morizzi e diverse nicchie laterali riccamente scolpite in marmo, così come l'altare maggiore posto in fondo al presbiterio ove si accede attraversando un grande arco sorretto da due colonne in granito. Sopra l'altare è posto il quadro della Madonna del Buon Consiglio, cinquecentesca. Entrando subito a destra è posta la nicchia che custodisce la statua della Madonna del Buon Consiglio, mentre verso il presbiterio sono poste le nicchie che custodiscono le statue di San Francesco di Paola, pregiata scultura lignea del 1600, Sant'Antonio da Padova e San Giuseppe. Sulla sinistra quelle di Santa Lucia, il Sacro Cuore di Gesù e una tela raffigurante la Sacra Famiglia. Sul soffitto è posto un dipinto di Domenico Mazzullo che raffigura San Giuseppe conduce un asinello con la Madonna e il Bambino. Sparse nella chiesa si possono ammirare numerosi capitelli ed altre sculture in marmo provenienti dalla città medievale.
La parte più interessante e misteriosa della Chiesa di San Giuseppe è però l’oscuro locale sotterraneo in cui si trovano cripte scavate nella roccia utilizzate un tempo per l’essiccazione dei cadaveri.
Fin dall'antichità, infatti le prime notizie risalgono al 1596, la chiesa Abbazia e la relativa parrocchia detta San Nicola extra moenia fu sempre retta da un canonico con il titolo di abate.
Nella pianta prospettica del Pacichelli la chiesa è disegnata in posizione centralissima dietro la cattedrale, ciò induce a ipotizzare come la chiesa così evidenziata non fosse in origine quella di San Nicola extra moenia proprio perché il termine stesso si riferisce a un edificio sito al di fuori delle mura della città. Molto probabilmente si sarà verificato, per motivi che non conosciamo, qualche evento che avrà consigliato di trasferire la parrocchia dentro le mura cittadine mantenendo però il titolo originario. Infatti tra il 1510 ed il 1525 dalle documentazioni vaticane emerge l'esistenza di una chiesa parrocchiale di Oppido definita San Nicola del Campo extra moenia o extra muros, presumibilmente si tratta dalla prima circoscrizione.
Dopo il disastroso terremoto del 5 febbraio 1783, anche l'Abbazia fu riedificata nella sede di contrada Tuba e a essa fu assegnata una porzione di territorio. La relativa parrocchia mantenne il nome di San Nicola extra moenia. All'interno si possono ammirare numerosi dipinti di Domenico Mazzullo, due pregiate statue in marmo del 1500 rappresentanti San Pietro e San Paolo poste ai lati dell'altare maggiore. Quest'ultimo è impreziosito dall'incastro di molti pezzi di altare proveniente da chiese dirute della città medievale. La chiesa ospita le spoglie mortali del vescovo Ignazio Greco.
La contrada Messignadi sita nella frazione di Castellace, luogo in cui sorge la chiesa di San Nicola di Mira fu colpita, come tutto l'abitato di Oppido Mamertina, dagli eventi sismici del 1783 e del 190; tali episodi causarono una demolizione parziale o totale degli abitati preesistenti. La chiesa di San Nicola di Mira nella sua attuale configurazione è stata ricostruita nel 1928,nell'ambito di un piano di
riqualificazione ed urbanizzazione riguardante tutto l'abitato oggetto di esame, su progetto dell'ingegnere Giuseppe Ferraris.
L'impianto strutturale della Chiesa di San Nicola di Mira, evidenzia uno sviluppo interno ad unica navata con imponente andamento longitudinale, tipico dell'architettura religiosa di quel preciso periodo
storico. Al suo interno la caratterizzazione stilistica è data da lesene decorate da capitelli corinzi; in fondo alla navata principale l'altare scandito dalla statua di San Nicola, ai lati due altari dedicati uno a San Giuseppe e l'altro al Cuore di Gesù. Considerata la sua conformazione attuale, all'esterno è evidente che la struttura sia stata oggetto di ammodernamenti recenti, vista la parete di mattoncini ad andamento prettamente orizzontale che scandisce sia parte del prospetto principale che quello laterale. Un ulteriore elemento caratterizzante si individua nell'ampia sacrestia annessa alla destra del corpo principale.
La facciata semplicemente intonacata, sobriamente decorata arricchita dalle paraste che affiancano il portale principale, sovrastato da due finestre monofore, rievoca i tratti salienti dello stile neoclassico, allineandosi perfettamente con le architetture religiose del tempo.
Il Palazzo Vescovile, noto anche come Episcopio o Vescovado, è il palazzo residenziale del vescovo.
L'attuale edificio, costruito per volere di mons. Nicola Canino, è situato tra Piazza Duomo e Via Antonio Maria Curcio. Disposto su due livelli, presenta una forma ad "L". Da un lato è addossato alla Cattedrale di Oppido Mamertina e dall'altro al Seminario.
Il piano alto è interamente adibito a residenza vescovile. Il piano sottostante ospita il Museo Diocesano e la Sala vescovile della Comunità. Quest'ultima, utilizzata originariamente come teatro, nonché come luogo di catechesi, è una grande sala restaurata nel 2013 per volere del vescovo Francesco Milito, ed è affrescata con pitture del maestro Diego Grillo raffiguranti scene del catechismo. Nel soffitto, interamente tinteggiato, è presente un grande dipinto raffigurante il globo terrestre sul quale è posta la Basilica di San Pietro e una grande croce, sotto il globo è posta la Cattedrale, dalla croce e dalla Basilica (Chiesa Universale) si irradia una fascio di luce verso l'Episcopio di Oppido Mamertina (Chiesa Particolare).
Nell'area interna del palazzo vi è un giardino alberato ove è presente una suggestiva riproduzione della grotta di Lourdes.
Il Seminario Vescovile di Oppido Mamertina è il seminario della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi. Fu fondato nel 1701 dal vescovo Bisanzio Fili, che guidò la Diocesi mamertina dal 1698 al 1707. Dopo il terremoto del 5 febbraio 1793, il Seminario fu ricostruito per volere del primo vescovo della nuova Oppido Alessandro Tommasini(1792-1818).
I successori di mons. Tommasini si impegnarono strenuamente per rendere il Pio istituto "lumen doctrinae" e "lumen vitae" secondo le intenzioni di Mons. Ferdinando Mandalari (1748-1769). Il vescovo Francesco Maria Coppola introdusse, tra le altre discipline, lo studio della natura, mons. Michele Maria Caputo le lingue straniere e mons. Giuseppe Teta la Sacra Liturgia e la Calligrafia.
Con mons. Antonio Maria Curcio, al quale è intitolata la via antistante, il Seminario oppidese si dotò di un Osservatorio Meteorologico e di un Gabinetto di Fisica. Sotto la reggenza del Vescovo Antonio Galati, a conferma e riconoscimento dell'importante opera di formazione dei seminaristi (la diocesi di Oppido Mamertina è da secoli prolifica di vocazioni sacerdotali) e a suggello del prestigio che il Seminario raggiunse siccome fucina di cultura scientifica e umanistica per tutta la Piana di Gioia Tauro, agli inizi del novecento si fregiò della visita del Cardinale di Milano Alfredo Ildefonso Schuster, oggi Beato.
Mons. Nicola Canino (1937-1951) si prodigò ad ingrandire ed abbellire l'edificio. Costruì un'ampia ala portando la capacità recettiva della struttura ad oltre sessanta seminaristi, fece edificare un grande salone dove egli stesso amava fare catechesi a giovani ed adulti, arricchì il Seminario, la Cappella ed il salone dell'Episcopio di pregiati affreschi realizzati dal pittore di Pizzo Diego Grillo. Nel giardino interno dell'Episcopio fece costruire una suggestiva riproduzione della grotta della Madonna di Lourdes.
Nel 2014, per volere di mons. Francesco Milito il salone dell'Episcopio è stato ristrutturato ed ha assunto il titolo di Sala Vescovile della Comunità.
Oggi il Seminario, oltre a protrarre la sua opera di formazione dei futuri sacerdoti, ospita anche il Liceo Classico "San Paolo" fondato nel 1990 da mons. Benigno Luigi Papa e divenuto "paritario" nell'anno 2001. La storia di questa scuola idealmente si riallaccia con quella del Seminario Vescovile e dell'attigua Biblioteca Diocesana che fu fondata nel 1633 dal vescovo Giovanni Battista Montano ed è la prima Biblioteca pubblica della Piana.
Architetture Civili
Nel 1787 la nuova Oppido, dopo il disastro tellurico che atterrò l'antico abitato, stava faticosamente venendo alla luce nel Piano della Tuba ed a poco a poco le originarie baracche in legno cedevano alle prime edificazioni in pietre o mattoni legati dalla calce. I vari nobilotti attestavano le loro magioni ai lati della grande piazza Mercato o lungo quello ch'era allora l'asse principale, sul quale scorrono oggi le vie Candido Zerbi e Mamerto, che vengono a diversificarsi proprio avanti alla cattedrale. Tra i tanti esponenti di prestigio si metteva in luce don Giuseppe Grillo, di nobile stirpe oriunda da Genova, che al pari degli altri aveva avuto in concessione il terreno per potervi materializzare la nuova sede della famiglia. N'è precisa testimonianza in tante documentazioni. Trovandosi l'area confinante con il sito in cui avrebbero dovuto elevarsi il vescovado ed il seminario, non passò molto tempo che una lite si sviluppò furiosa e portò a gravi conseguenze. I due contendenti, il Grillo e il vescovo, si accusavano vicendevolmente di gravi soprusi ed a lungo un alto muro venne a separarli, tanto che fra di essi rimase un vicolo strettissimo, che tenne sempre celato alla vista il prospetto del primo istituto. Naturalmente, il Grillo ebbe buon gioco dal fatto che nel 1806 mons. Alessandro Tommasini venne trattenuto prigioniero dei Borboni in Sicilia fino al 1815 e che alcuni parenti erano "magna pars" in seno alla chiesa diocesana. Rientrato il Tommasini ad Oppido, com'era prevedibile, la zuffa si riaccese più accanitamente, tanto che si arrivò alla comminazione di un'anatema.
Nel corso dei tempi si alternarono liti e cause, vittorie e sconfitte, petizioni al comune, all'intendenza e perfino al re, accordi presi e subito dopo stracciati ed ai primi competitori si sostituirono altri presuli ed il figlio del primo Grillo, don Francesco. Finalmente, nel 1859, auspici mons. Francesco Maria Coppola e mons. Giuseppe Maria Grillo, la lunga lite terminò con soddisfazione di tutti ed ognuno, dato che la ragione non stava da una parte, fece le sue brave concessioni. Il muro però restò vigile sentinella fino agli anni '50 del secolo scorso, quando il palazzo entrò a far parte dei beni della diocesi. Negli ultimi anni dell'800 risiedeva ancora nella magione il nipote del primo Grillo, d. Alfonso, facoltoso proprietario, noto per aver contribuito al crac di un banco siciliano ed aver mandato sul lastrico tanti piccoli risparmiatori.
Il terremoto del 1908 lasciò completamente indenne il palazzo, ma, partiti per altri lidi gli ultimi proprietari, ci pensarono bene a ripulirlo i custodi che si susseguirono ed i monellacci del paese, che ne fecero un campo di battaglia per le loro scorrerìe ed asportarono quanto poteva essere asportato collocandolo nelle loro case, perfino i pavimenti maiolicati, che ancor oggi fanno bella mostra nelle residenze di alcuni cittadini. Vi si collocarono botteghe ed un circolo ricreativo ed in ultimo uno squadrone a cavallo dei carabinieri, ma anche alcune famiglie. Col passare del tempo andò man mano degradandosi fino a ridursi ad un rudere e ad essere nomato quale "palazzaccio".
In questi ultimi anni si è riusciti a pianificare l'acquisto per il comune e ad ottenere congrui fondi, che hanno permesso il restauro completo del manufatto da valere quale sede di un centro di aggregazione culturale valido ad ospitare musei, biblioteca e sale per convegni, il tutto in armonia con la Soprintendenza Archeologica reggina.
Musei
Il Museo diocesano di Oppido Mamertina è il museo del patrimonio artistico della diocesi di Oppido Mamertina-Palmi.
Il museo fu fondato nel 2003 per volere del vescovo Luciano Bux su progetto dell'ingegnere Paolo Martino, ospita molti oggetti di Arte sacra di particolare interesse Storico-artistico, che testimoniano la millenaria storia della diocesi di Oppido e dei suoi vescovi. È allestito in una porzione al piano terra del grande Palazzo Episcopale adiacente alla Cattedrale di Oppido Mamertina.
Nel Museo è possibile ammirare opere appartenenti al ricco e fecondo patrimonio della Diocesi, provenienti dalle chiese, dai conventi, dai monasteri e da altri luoghi religiosi del territorio a costituire un campionario completo degli oggetti utilizzati durante la funzione liturgica., di varie tipologie artistiche e appartenenti a diversi periodi storici. Dipinti e sculture lignee e lapidee arricchiscono il patrimonio del Museo completando un percorso artistico e liturgico degno di attenzione.
L’esposizione museale si sviluppa attraverso otto sale, corredate da specifici pannelli descrittivi, in cui gli oggetti sono presentati secondo una logica temporale che guida il pubblico non solo alla visione dei tesori, ma anche alla conoscenza della storia della Diocesi e dei personaggi a cui gli oggetti sono appartenuti, mettendo in risalto le figure di alcuni vescovi che hanno contribuito alla crescita dell’antica Diocesi
Nell’organizzazione del percorso museale grande rilievo occupa il disastroso evento sismico del 1783, che giustifica la penuria di testimonianze ad esso antecedenti. L’itinerario si conclude nella sala in cui sono esposte anche testimonianze più recenti del XX secolo, che consentono una lettura articolata dell’evoluzione delle tecniche e delle espressioni artistiche susseguitesi nel corso dei secoli per la realizzazione degli oggetti liturgici.
Tra le tante opere custodite, la Statua in marmo di San Sebastiano (XV secolo), di Benedetto da Maiano, visitata ed attenzionata nel 2014 dal critico d'arte Vittorio Sgarbi. L'opera è stata richiesta dal Museo del Louvre di Parigi per essere esposta nell'ambito della mostra dedicata alla scultura italiana del Rinascimento "Il corpo e l'anima da Donatello a Michelangelo" dal 22 ottobre 2020 al 18 gennaio 2021 e successivamente è stata richiesta ed esposta al Museo del Castello Sforzesco di Milano a maggio-giugno 2021.
Opere pittoriche e sculture lignee e lapidee arricchiscono il patrimonio del Museo completando un percorso artistico e liturgico degno di attenzione.
Si tratta, quindi, di un Museo in continua evoluzione che vuole offrire sempre maggiori servizi e informazioni, fruibile non solo dalle Comunità locali, ma anche da quelle straniere, per le quali è stato predisposto un sistema comunicativo multilingue.
Un Museo aperto a tutti e fruibile anche dalla Comunità multimediale grazie ad uno spazio web in cui virtualmente è possibile visitare le sale e visionare i diversi tesori esposti.
Il Museo della Civiltà Contadina e Artigiana di Oppido Mamertina, è stato inaugurato nel 1998 ed è ospitato presso palazzo Grillo. La residenza signorile è stata edificata, dopo il terremoto del 1787, da don Giuseppe Grillo, di nobile stirpe di origine genovese. Acquistato dal Comune di Oppido Mamertina, dopo il completo restauro, il manufatto è stato destinato ad ospitare il Museo, la Biblioteca e la sala convegni.
Al suo interno sono conservati manufatti della cultura agro-pastorale del territorio di Oppido Mamertina. Da vedere sono gli attrezzi per la produzione e la lavorazione della seta, delle olive, dei formaggi. Sono esposti attrezzi utilizzati in attività contadine, come la produzione dell’olio e dagli artigiani quali fabbro, cestaio, calzolaio, falegname, bottaio e lattoniere. Si possono, ancora, visitare gli spazi dove sono stati ricostruiti ambienti della vita femminile e delle attività proprie della donna: un telaio ancora funzionante per la tessitura, gli attrezzi per la lavorazione del pane, ricami e pizzi, oggetti di uso quotidiano. Inoltre, sono presenti alcuni reperti archeologici databili al IV-II secolo a.C. provenienti dagli scavi di Mella e dall’antica Mamertum.
Tradizioni
Sono numerose le tradizioni di Oppido Mamertina, soprattutto legate a festeggiamenti religiosi. La più importante di esse è la festa di Maria Santissima Annunziata, patrona della città e della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, celebrata due volte l’anno con solenne processione della statua della Vergine per le vie del paese.
Festa di Maria Santissima Annunziata
Il simulacro della Madonna Annunziata, custodito nella cattedrale, è un’opera lignea realizzata nel 1841 dallo scultore napoletano Arcangelo Testa, su commissione del vescovo Francesco Maria Coppola. Altre due opere dello stesso artista e cioè la Madonna delle Grazie e della Pastorella sono situate nel santuario di Tresilico e nella chiesa parrocchiale di Piminoro.
La statua arrivò con un bastimento alla marina di Gioia, dove l’accolse una folla di cittadini insieme al vescovo, presbiteri, seminaristi, autorità civili e militari e venne sistemata in cattedrale sotto un baldacchino di damasco rosso dove rimase fino al 1879, quando il comune ordinò un trono in legno dorato sul quale porre la statua. Il trisello e la statua poi furono collocati all’interno di un grande armadio in legno intagliato a mano e ben presto definito, per le sue proporzioni, cappella stipo, voluto dal sindaco del tempo e realizzato nel 1900 dall’artista Salvatore Caridi. L’imponente custodia, che uscì indenne dal terremoto del 1908, si trova nella cappella in fondo alla navata sinistra della cattedrale e ospita il grande trono processionale della statua del Testa.
Il canonico Pignataro, nel suo studio su “Il culto di Maria SS. Annunziata in Oppido di Calabria”, fa risalire il culto dell’Annunziata al periodo in cui dominava nella diocesi il rito bizantino. Nel 1600 il culto pubblico all’Annunziata è testimoniato da atti notarili e da relationes ad limina dei vescovi del tempo. All’epoca si venerava a Oppido un’immagine miracolosa della Madonna Annunziata, opera attribuita ad un pittore di Costantinopoli di nome Lucae e realizzata nel XII secolo. Questa immagine veniva esposta soltanto il 25 marzo di ogni anno, e in casi particolari di urgenza, quindi in periodo di gravi calamità. Questo raro evento rappresentava un momento particolare per gli abitanti di tutta la diocesi che manifestavano atti di commozione e solennità; in cattedrale il clero, sia secolare che regolare, era presente in abiti da cerimonia e l’annuncio veniva dato dai rintocchi delle campane di tutte le chiese cittadine e dagli spari delle artiglierie del castello.
Nel 1743, secondo quanto viene narrato da Francesco Saverio Grillo e riportato da Giovanni Sposato nel suo “Culto e Grazie di Maria SS. Annunziata”, fu istituita una seconda festività in onore della Vergine a ricordo della grazia che la Madonna ha compiuto a favore del popolo oppidese liberandolo dalla peste.
Alcuni autori criticano il riferimento all’anno 1743 quale quello della pestilenza, in quanto non vi sono documenti del tempo che ne parlano. Sostengono che quell’anno è da richiamare solo per l’istituzione della seconda festività, detta del ringraziamento, forse il miracolo, invece, avvenne qualche decennio prima come emerge da una relatio del 1673 del vescovo Ragni dove si parla di una pestilenza diffusasi in diocesi due anni prima e cioè nel 1671. Lo storico Nicolantonio Gangemi, parla del miracolo della Madonna e lega cronologicamente la grazia concessa, alla peste successiva all’anno 1665 e accenna a una ruota di carro custodita nella cattedrale come ex voto, a testimonianza della peste cessata all’invocazione della Beata Vergine. Tuttavia, anche se vi sono discordanze e incertezze sull’anno esatto del miracolo, questo è richiamato in diversi documenti ed è vivo nella memoria storica del popolo oppidese. In ricordo di tale avvenimento e in ringraziamento alla Madonna, fu introdotta, una seconda festa in suo onore, chiamata del ringraziamento appunto o della gratitudine. Ancora oggi la suggestiva festa dell’Annunziata, che è la patrona di Oppido Mamertina e diocesi, si celebra in due date distinte, il 25 marzo di ogni anno e la prima domenica dopo ferragosto e richiama un nutrito afflusso di fedeli.
Il 15 agosto il vescovo Francesco Milito ha conferito alla chiesa che ospita la sua cattedrale il titolo di santuario Mariano in onore di Maria SS. Annunziata, patrona della città di Oppido Mamertina e diocesi.
Il vescovo ha dedicato una preghiera di ringraziamento alla Vergine e ha fatto dono di una teca di cristallo contenente una rosa d’oro e un proiettile disarmato.