Melicuccà (in greco, Melikukià in greco – calabro) è un comune italiano di 832 abitanti della Città Metropolitana di Reggio Calabria.
Origini del nome
Deriva dal greco melikokkas, ossia “bosco di bagolari”, da melikokkos, bagolaro.
Informazioni:
Sito istituzionale:
www.comune.melicucca.rc.it
Il Territorio
Il Comune di Melicuccà, situato in una piccola valle formata dalle pendici settentrionali dell’Aspromonte, su un territorio di 17,15 Kmq., a 273 m. sul livello del mare, confina con i comuni di Bagnara Calabra, S. Procopio, S. Eufemia d’ Aspromonte, Seminara e Sinopoli.
La Storia
Sulle origini storiche di Melicuccà, piccolo centro situato in una valle formata dalle pendici settentrionali dell’Aspromonte, si possiedono scarse notizie (Padre Fiore lo definisce “terra non molto antica, sicchè non oltrepassa di là del Mille” e Taccone-Gallucci afferma, “Melicuccà credesi fondata verso il sec. X”. Nel territorio del comune, il complesso delle grotte di S.Elia speleota, con i resti del contiguo cenobio basilano e delle fabbriche annesse (cantina, mulino, necropoli, palmento, ecc.), risalenti al X secolo, rappresenta oggi una delle più cospicue testimonianze archeologiche della grecità bizantina nella Calabria meridionale. Le origini del paese possono essere, forse, rintracciate proprio nell’altissima densità di insediamenti basiliani esistenti in epoca bizantina su questo territorio che si trovava al centro della Turma delle Saline. Le biografie dei Santi Italo-greci parlano di un centro commerciale (emporion), la cittadina di Sicri, di cui si è persa ogni memoria storica (forse distrutta dai Saraceni durante le scorrerie dell’emiro Hasan 950-52) i profughi scampati all’eccidio si spostarono probabilmente nella valle di Melicuccà, dove vegetava il bagolare (in greco melikokkos) e dove scaturivano abbondanti sorgenti, incrementando il preesistente insediamento agro-pastorale e dando così inizio al primo consistente nucleo abitato del paese. Un indizio di questo trasferimento si rintraccia nel bios dello Speleota, dove si narra di popolazioni che, fuggendo i Saraceni, accorrevano verso la grotta del Santo.
Arte e cultura
Monumenti e luoghi d’interesse
Architetture civili
Del Castello dopo i vari terremoti rimangono alcuni baluardi, angolari e della torre quadrata. Esso è stato costruito sulla collina omonima ed è considerato opera dei Cavalieri di Malta. Già nel BIOS di Sant'Elia, però, si parla di un castello nei pressi delle grotte, anche se la definizione era diversa dall'odierna. Non vi era una vera ragione strategica, da parte dei Normanni, che al tempo dominavano la Calabria, per fortificare il paese. Ma ai tempi in cui lo storico melicucchese Scipione Carceri era in vita, riferisce di avere avuto la notizia di fortificazioni e di porte d'ingresso al paese. Dunque non è da escludere che i Cavalieri, insediatisi, abbiano effettivamente potenziato il primitivo edificio Normanno, edificando il Castello e fortificando l'intera collina, comprese le mura che delimitano la spianata della Chiesa di San Giovanni e i relativi sotterranei. Ancora nel settecento erano in piedi, inquanto all'epoca il Castello era certamente sede della Curia Commendale. La torre dell'orologio, che si trova sulla sommità dei resti dell'antico Castello risale a dopo il terremoto del 1908. Anche se nel Cabreo del 1737, dove viene descritta la Chiesa di San Giovanni Battista, nella parte relativa al campanile vengono citati: "un bellissimo orologio e due campane di bronzo". Quindi potrebbe non essere il primo orologio del paese e dopo il terremoto del 1783 che fece crollare il campanile, essere stato riedificato nell'attuale posizione.
Si tratta della tipica struttura di urbanizzazione finalizzata al servizio idrico civile della popolazione e vista la centralità del luogo, la Commenda ha realizzato nel XVI sec. un insediamento monumentale altamente simbolico.
Essa è costituita, per la parte del fonte, in pietra arenaria locale, questa è stata la causa del degrado, per consumo, degli splendidi gradini e della vasca-abbeveratoio che era posta sul lato est.
Rappresentava il naturale convenire del Castello dei Cavalieri di Malta, della Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista, della zona della Motta (area abbandonata dopo il sisma del 1783) e della Comunità. Potremmo definirla la zona residenziale e nobile dell'abitato.
La fontana si sviluppa su una base gradonata ottagonale a scalare verso l’alto, su questa il fonte. Anch’esso ottagonale alto circa un metro, il sinuoso fusto, ospita sei canali e la conca con lo zampillo in cima.
In alto, a ridosso della conca di cima che guarda a Sud, è appeso lo stemma civico di Melicuccà con riportata la coppa di miele, le api e la datazione XVI sec.
Importante è la lettura della forma geometrica della pianta base, cioè l’ottagono, che nella tradizione cristiana è il segno del fonte battesimale, in quanto l’otto rappresenta “l’Octava dies” cioè il giorno della Resurrezione.
Il Fonte battesimale, dove il Cristiano viene lavato dal peccato originale con l’acqua del battesimo che lo fa risorgere a nuova vita.
D’altronde i Cavalieri di Malta avevano ed hanno come protettore San Giovanni il Battista e sono fortemente legati alla simbologia battesimale.
Per questo la fontana del Tocco è stata per secoli riferimento iconografico sia religioso che civile. Ancora oggi costituisce un elemento identificativo. Nel recente passato, infatti, è stata simbolo anche di liste civiche elettorali.
Maldestramente ristrutturata nel 1982 è stata recuperata con intervento di restauro, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza, nel 2011.
Opera dell'artista scillese, Carmine Pirrotta, instradato all'arte durante il periodo della Scuola degli "Artisti di Scilla", fondata da Guttuso. Come Calogero, protagonista dell'opera, anch'egli, devastato da una delirante solitudine, alienato da una passione esclusiva e da un’esistenza reietta. Forse anche per questa sua vicinanza ai tormenti del nostro grande Poeta, accettò con entusiasmo l'incarico di realizzare l'opera, a metà degli anni sessanta. Finanziata con fondi degli emigrati d'Australia e commissionatagli dal "Circolo culturale Lorenzo Calogero" che in quegli anni viveva, come anche il nostro paese, un periodo di grande fervore intellettuale. Originariamente l'opera doveva consistere in un grande libro aperto con queste due pagine e nel retro le copertine, poi dopo una serie di vicissitudini, tra le quali anche la salute dell'artista si riuscì a realizzare queste due lastre ora posizionate nella piazzettina di via Roma.
Deve il proprio nome, in omaggio al paese di Ardenza, frazione di Livorno, che aveva animato il Comitato di Soccorso dopo il terremoto del 1908. Conosciuta anche come Piazza Municipio o semplicemente “a Chjazza”, è il cuore della vita pubblica, luogo di ritrovo e scenario degli eventi collettivi: comizi elettorali, feste paesane, raduni, concerti, eventi sportivi (pallavolo, calcetto, giochi "senza quartiere") e teatro di infinite discussioni politico/sociali.
Architetture religiose
Il culto di San Giovanni Battista si afferma a Melicuccà dopo l'annessione del paese al Baliaggio di Sant'Eufemia del golfo. Verso la fine del XV secolo (1946) fu edificata la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista. Prima di quella data il protettore di Melicuccà era Sant'Elia lo Speleota
E' stata per secoli la chiesa del Convento dei frati minori riformati della provincia veneta che si stabilirono nel paese nei primi anni del Seicento. E' stata anche sede della secentesca Accademia di Sant'Antonio
E' stata una delle quattro chiese commendali esenti, quando Melicuccà era commenda dei Cavalieri di Malta. Divenne chiesa del Rosario quando, il 3 ottobre 1569, ben due anni prima della battaglia di Lepanto, venne fondata a Melicuccà la Confraternita del SS. Rosario con decreto di F. Bernardo Giustiniano Generale e Maestro dell'ordine dei Benedettini (Santa Maria sopra Minerva). La chiesa, in cui sono custodite le reliquie di Sant'Elia Speleota ed un Gonfalone ricamato in argento, dono del beato Bartolo Longo, è stata recentemente restaurata;
Ricostruita dopo il terremoto del 1783, in seguito all'abbandono della chiesa della Motta è stata dedicata alla Madonna dell'Assunta. E' situata in piazza Tocco, antico cuore della commenda dei Cavalieri di Malta. Caratteristico, come riportato negli annali storici della Calabria, era il sedile in cemento, posto davanti alla Chiesa, dove sedevano i prelati. La chiesa è formata da un'unica navata impreziosita da stucchi. Al suo interno si possono ammirare un'acquasantiera del XVI secolo, una statua marmorea della vergine, di bella fattura, su una base in cui è scolpito in bassorilievo il trasporto della Santa Casa a Loreto, comunemente considerata opera del palermitano Antonello Gagini (1478 - 1536) e un quadro del Seicento, opera di pittore anonimo. La chiesa è stata recentemente restaurata
Nelle immediate vicinanze esistono ancora i ruderi del monastero basiliano e della chiesa di Sant'Elia distrutti molto probabilmente del terremoto del 1783. Il complesso delle grotte di Sant'Elia speleota, con i resti del contiguo cenobio basiliano e delle fabbriche annesse (cantina, mulino, necropoli, palmento ecc.) risalenti al X secolo, rappresenta oggi, come dimostrato da recenti scavi, una delle più cospicue testimonianze archeologiche della grecità bizantina nella Calabria meridionale.
Sulla destra vi è una specie di acquasantiera in pietra che raccoglie l'acqua che gocciola da una vena che giunge proprio all'interno della grotta.
Questo fatto ha già del prodigioso, data la struttura geologica del luogo: la sorgente detta "acqua del giardino di S. Elia" è molto più a valle, e nei secoli si è abbassata continuamente lungo la scarpata. Invece l'acqua della grotta continua ininterrottamente a gocciolare con un ritmo costante e quasi matematico.
Costruita in legno, insieme all’agglomerato di baracche dopo il terremoto del 1908, fu restaurata negli anni Settanta e si presenta con una semplice facciata in cemento sormontata da un timpano e un campanile arretrato sulla sinistra. Nel suo interno, ad un’unica navata con abside semicircolare, ed il soffitto in legno intarsiato (opera del falegname Vincenzino Ligato), si conservano: la statua di S. Giuseppe che si trovava nella chiesetta andata distrutta di S. Maria della Motta ed un quadro sulla “Deposizione".
Di questa, non si ha memoria dell'allestimento interno nel periodo in cui fu funzionante, tantomeno si hanno notizie precise su quando venne abbandonata o quanto tempo rimase attiva, l'unica citazione rinvenuta, si trova nel Cabreo, riguardante i beni della Commenda di Melicuccà nel 1737-"Chiesa San Rocco, essa si trova in piazza Tocco con all'interno una statua del Santo."
Ubicata nel cuore del centro storico, la Chiesa di San Rocco, oggi, si presenta senza copertura.
Abbandonata al suo destino per almeno un secolo, oggi è di fatto una preziosa testimonianza di architettura barocca, rappresentata dai ruderi della muratura perimetrale e dal prospetto principale con il lezioso portale.
La facciata di chiara matrice seicentesca, contiene gli elementi tipici dell’architettura sacra barocca: il movimento concavo e simmetrico delle pareti, il grande portale in pietra arenaria.
Sul lato sud, all’esterno vi è uno slargo che fino a pochi decenni addietro ospitava un precario edificio di pertinenza della chiesa, oggi demolito.
Il portale
Il campo centrale del prospetto è occupato quasi interamente dal grande portale in pietra arenaria i cui piedritti sono sormontati da una trabeazione, essa stessa, sormontata dal fregio scanalato nella parte centrale e da due coppie di metope laterali ornate da testine e rosoni. Al fregio si sovrappone una modanatura aggettante che fa da imposta al timpano ad arco spezzato.
L’interno
Superato l’ingresso si presenta la navata unica dell’edificio sacro. Sulle pareti laterali sono ancora leggibili le decorazioni costituite da archi, lesene e cornici.
Il presbiterio
All’ingresso del presbiterio si trovano tracce di due setti rettangolari che fanno pensare ai piedritti d’imposta di un arco trionfale che divideva la zona riservata al Clero e l’aula del popolo di Dio.
Subito dopo questo piedritto (parete destra) si trova una porta con arco a sesto ribassato che portava verso l’esterno (o alla sacrestia ?) .
Al centro del fondo absidale c’è una grande nicchia aggettante verso l’esterno oggi totalmente riempita di muratura, mentre una nicchietta sottostante con arco è ancora presente.
A terra si leggono i resti di un altare tridentino sicuramente monumentale.
Dopo il restauro conservativo del 2012 l’edificio si presenta nella sua fragile bellezza ed è utilizzato per eventi culturali.
Tra le chiese scomparse vi era la chiesa dell’Assunta (o della Motta), che era la sede della confraternita dell’Assunta, ma non aveva un suo oratorio ed i confratelli dovevano fare gli esercizi spirituali nella vicina chiesa di Santa Maria di Loreto. Fu distrutta dal terremoto del 1783. I suoi resti si trovano in contrada Motta. La chiesa è conosciuta come Santa Maria della Motta per via della sua ubicazione o come Santa Maria dello “schicchio” poichè, un tempo, nelle sue vicinanze scorreva una piccola cascatella.
Tradizioni e folclore
Le tradizioni di Melicuccà sono legate soprattutto a festeggiamenti religiosi. La più importante di esse è la festa di San Giovanni Battista, celebrata il 23 e 24 giugno con solenne processione della statua del santo per le vie cittadine. L’elenco completo delle celebrazioni cattoliche che vengono svolte durante l’anno, nel territorio comunale, è il seguente:
- Festa di San Giuseppe, 19 marzo
- Affruntata, domenica di Pasqua
- Festa di Sant’Antonio da Padova, 13 giugno
- Festa di San Giovanni Battista, 23 e 24 giugno
- Festa di Maria Santissima Assunta, 12 Agosto
- Festa di Nostra Signora di Lourdes, ultima domenica di agosto
- Festa di Sant’Elia lo speleota, 11 settembre
- Festa di Maria Santissima del Rosario, prima domenica di ottobre